Tornare altrove Il tema dell'origine nella poesia di Nanni Cagnone Maurizio Chiaruttini |
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«Di fianco all’ingresso, c’era una statua di marmo rosato: una donna di acconciatura elaborata, la veste scesa sui fianchi, e e mani che offrivano ancora una cosa scomparsa». Questa figura, che appare in una delle prime pagine del romanzo Comuni smarrimenti rappresenta un’immagine efficace, quasi un’allegoria, della poesia di Nanni Cagnone. È la copia tardo-romana di una scultura attica. Simulacro di un simulacro, sembra non appartenere più al corso degli eventi, e tuttavia sta lì, davanti ai nostri occhi, con un gesto, offrendoci il segno di un’assenza: assenza di ciò che di quel gesto fu l’oscura matrice e fece sì che le mani scolpite entrassero nel mondo sotto quella forma, proiettassero quell’ombra, accogliessero in quel modo le variazioni della luce. Il tema dell’origine, con varie accentuazioni, attraversa tutto il percorso poetico dell’autore, dal frammentismo di What’s Hecuba to Him or He to Hecuba? fino allo ‘stile elevato’ del poema Vaticinio e delle tre raccolte successive. Pur nell’apparente disparità stilistica, i due estremi della parabola espressiva si toccano: la fedeltà alle proprie ragioni poetiche è un dato innegabile del lavoro di Cagnone. Possiamo prendere le mosse da uno dei più felici componimenti di Andatura, raccolta idealmente situabile al centro di quella parabola: come ortica e lattuga, felce e felce, cammina intanto per tramiti svelto non avanza nella stranezza del mare che scorrono insieme smalto e ritrosìa lungo ripetute somiglianze scorrono nel madornale fruscìo già nascosto da nuvole, conteso, insaputo confusissimo aroma, ditemi se dissipa da sé, lacuna che lentissima confonde. |
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