Su “Discorde” di Marco Ercolani |
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In questo libro di prose critiche l’idea di Nanni Cagnone è l’idea, inconciliata, di una poesia “sciamanica”, di una “prenotazione ritmica del senso”, di una poesia che non deve mai perdere “la fortuna dell’insonnia”. Qui sta tutto il senso della sua scrittura, in versi e in prosa, scavata all’interno della tradizione poetica contemporanea come un abisso di libertà e, come ogni libertà, irriducibile evento senza eredi, che aspetta altre insonnie con cui confrontarsi. Discorde (La Finestra Editrice, 2015) è la più recente stazione di posta di questo viaggio nella “contrastata storia del presente”, nella sua “lacuna”. Nanni difende una poesia che è “brevitas densità complessità” e non apprezza la complicazione: “tradizionale malanno di chi finge una complessità”. In questo il pensiero del poeta è chiarissimo: «Penso al linguaggio come all’autore di un gran numero di false descrizioni e sogni incompleti. Sua necessità, sua disperazione, l’impossibilità d’essere nelle cose». E, contigua a questa riflessione, ne annoto un’altra: «La più profonda esperienza della poesia è quella di una lontananza costitutiva». Dentro questa lontananza accade questo libro, discorde a qualsiasi tempo, e che, pur essendo già stato scritto nel corso degli anni, tra frammenti, discorsi, conversazioni, si scrive proprio “adesso”, mentre i frammenti si assemblano nell’unicum di un volume che conferma l’inflessibile fermezza di un pensiero eretico, non disponibile alla semplificazione: «Tra la lingua edenica, pacifica lingua immemorabile, e la rovinosa confusione delle lingue, sì è compiuto il percorso delle nostre parole». E dentro quel percorso può dire «sto parlando del più difficile dei nostri sogni – si cominciò invece balbettando, e nel corso del tempo s’è completato soltanto, e disperato, il balbettare». Discorde, che raccoglie in un volume-zibaldone, presentazioni, osservazioni, appunti, stilati nel corso di oltre un cinquantennio, è il libro di chi per anni cova «la strana fantasia d’avere un gemello taciturno [...] che sapeva meglio di me le mie paure»; di chi proclama l’auctoritas del sogno come chiave d’accesso alla verità inattuale dell’esperienza vitale: «Se fossi alla ricerca di un’auctoritas, mi rivolgerei ai Wendat e agli Haudenosanee, popoli che non distinguono, e vogliono seguire al risveglio i loro sogni». Cagnone irride la dicotomia fra avanguardia e tradizione, viste come i poli opposti di uno stesso pianeta: ciò che conta per lui, da sempre, è la «necessità di trovare un pensiero entro la poesia, invece di mettere in versi un pensiero già noto, precedente». Non è un caso se Discorde sia anche un archivio di vivi ricordi di poeti e artisti (ma la parola archivio banalizza ciò che Cagnone evidenzia: il ricordo dell’uomo e dell’artista, fusi insieme nella cera dell’esistenza visibile, due esempi fra tutti: le magnifiche e complici osservazioni su Nanni Valentini ed Emilio Villa). Discorde non è un libro per tutti: è un livre de chevet per lettori complici, per artisti sintonici, per frequentatori dell’arcaico, che è presente, e del presente, che è arcaico, scritto da un uomo che può dire: «mi son trovato a leggere il Deutschland non diversamente da come lessi il Libro di Giobbe». E Il naufragio del Deutschland di Gerard Manley Hopkins, tradotto da Nanni, così come l’Agamennone, non è tanto traduzione quanto ri-creazione. «Traduzione non sarà il testo italiano, bensì la riluttante proporzione tra le lingue affrontate. è da tale attrito, da tale incertezza bilingue, che si può imparare l’originale – impararlo, ricordando la traduzione». Nulla è come appare ma contiene sempre “l’insolenza d’inconciliabili sogni”, quell’ulteriorità che fa della sua opera ancora in fieri una meteora esplosa solo per rari osservatori. È, Discorde, un libro di ricapitolazione, ed “è complicato ricapitolare” osserva Cagnone: «uno scorcio, adesso, e una domanda: quali intrecciati fermenti nelle mie studiate veglie? Nottambulo, jazz drummer, corpo amoroso». Io ne proporrei una quarta: uomo avventuroso, irragionevole e desiderante perché «Pazzo, prima o poi, sarà colui che non perde il desiderio»; uomo che non smette di ricordarci come la competenza retorica debba essere imparata per poi essere dimenticata. «Dover scegliere equivale a perdere le illusioni infantili. Si deve preferire, si deve rinunciare. Rassegnazione inevitabile, ma difficile da esercitare per chi, in poesia, ricerchi il compossibile». Per chi è “discorde”, come Nanni, non c’è accordo con le voci dominanti. Yves Bonnefoy «è un poeta manierato, il cui linguaggio fait toujours décor». I libri di Andrea Zanzotto sono «le giravolte di un cinquantenne vernacolare». E il giudizio su Alda Merini si riassume in una sola frase: «Che dire del suo temperamento esclamativo e della lusinghiera mozione degli affetti?». L’apparente snobismo delle affermazioni non è esibizione di cattivo carattere o di misantropia, “insolente antitesi” da “volontario del biasimo”, ma nasconde la necessità di preservare il testo, e la sua abbagliante oscurità, dall’esibita chiarezza di qualsiasi passione ideologica, di qualsiasi “utile” bellezza. «La poesia non può essere uno scopo. Piuttosto, una distratta conseguenza». Discorde esce per le edizioni “La finestra” nella collana Coliseum: e il nome Coliseum è l’evidente omaggio alle edizioni curate da Cagnone negli anni ottanta-novanta e che videro pubblicati, tra gli altri, testi di Averroé, Hopkins, Stevens, Bronte, Novarina. Non sarà superfluo ricordare con quanta inflessibile fermezza, in quegli anni, Cagnone fosse regista di ogni singolo libro delle sue edizioni, dalla scelta degli autori alla grafica delle copertine alla qualità delle traduzioni. Ogni volume era curato con maniacale rigore, e il rigore è una virtù pericolosa, perché distanzia dal mondo insolente della semplificazione. Dell’avventura Coliseum, conclusa ormai da molti anni, affiora qui il nome, come viva reliquia. Nanni non ha scelto la strada dell’afasia ma ha sempre moltiplicato le maschere, inventando libri poetici, dialoghi teatrali, scritture per artisti, fedele alla necessità di manifestarsi in forme diverse (spesso marginali ma di altissimo valore estetico) per contrastare il mediocre e uniforme presente (ultima sua fatica Tacere fra gli alberi, edizioni Coup d’idée, una splendida collana d’arte torinese dall’evocativo titolo mallarméano, curata da Enrica Dorna, il cui progetto grafico è opera di Giulio Paolini e che ospita già brevi e preziosi volumi di versi di Cesare Greppi, Stefano Agosti, Alessandro Ricci, Osvaldo Coluccino; ma non dimentichiamo, di Nanni, un altro recente libro di versi Le cose innegabili e la splendida traduzione dell’Agamennone eschileo che hanno bypassato qualsiasi edizione di poesia perché sono state pubblicate dalla Galleria Mazzoli di Modena con interventi visivi di Mimmo Paladino e William Anastasi). Come scrive nell’incipit del suo primo romanzo Comuni smarrimenti: «Vivere non è abbastanza. Perché la vita sia degna di essere vissuta, a questa nudità si deve aggiungere tutto». Ma qui, in Discorde, Cagnone corregge il tiro, definendosi poeta del vuoto e non del pieno: «...la più ardua richiesta: distruggere la teoria di sé stessi. Dunque, per rendere degna la propria poesia, si deve trovare in sé un altro poeta». Chissà che quel poeta non appartenga a quei “classici talmente nitidi da sembrare insignificanti” dell’antica poesia cinese e giapponese, immuni da “sottintese metaforiche inquietudini”. Concludo la mia nota di lettura con un aforisma ironico, degno dell’outsider che Nanni è sempre stato: «Uno scrittore è costretto a sopportarsi, ma i suoi lettori avranno pur diritto a una via di fuga». Anche se la lettura di Discorde suggerisce soprattutto una via centripeta che obbliga il lettore a sostare dentro il libro, tra pause e assilli, prigioniero del labirinto di una riflessione insonne e ostinata, dove chi è poeta non può ignorare il proprio stesso respiro. |
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